Bretelle, talmente eleganti che c’è chi le indossa per gioco.
Bretelle, talmente eleganti che c’è chi le indossa per gioco.
Le bretelle sono tra gli accessori più eleganti. Così eleganti che non è difficile incontrare qualcuno che le indossa per gioco, fingendo un vintage ignaro di alcune regole e segnali fondamentali.
Decifriamoli insieme con le bretelle Principe di Firenze, nelle due versioni essenziali: larghe o strette, con doppia possibilità di utilizzo, pinza e bottoni.
Il primo segnale è una comodità superiore. Non solo perché questo particolare modo di tenere su i pantaloni è più stabile rispetto alla cintura anche in un corpo snellissimo, ma proprio per la capacità “di abbraccio” del tessuto elastico, che regala immediatamente un senso di elegante stabilità, anche simbolico.
Non a caso, infatti, le rappresentazioni che il grande cinema e la grande fotografia ha dato di questo accessorio, è sempre associato a una simbologia del potere e della responsabilità. Valori cioè che vanno ben oltre il semplice successo e che implicano sempre una consapevolezza di quel che si è e del proprio ruolo.

Cosa compra veramente chi acquista una camicia Principe di Firenze?
Cosa compra veramente chi acquista una camicia Principe di Firenze?
Principe di Firenze e le sue proverbiali camicie, con la loro storia che comincia ai primi del Novecento, vanno ben oltre il marchio o – come si direbbe oggi – il brand. Perché sono anzitutto una filosofia, una passione e un certo modo di vivere e intendere l’eleganza.
Lo sanno bene i clienti che da tutto il mondo acquistano le nostre camicie in negozio o le comprano online. Ma cosa compra veramente chi acquista una camicia Principe di Firenze, sia nelle versioni uomo che in quelle donna?
La risposta sta in alcuni dettagli, quelli da cui si riconosce una camicia di qualità e che ne giustificano un prezzo mediamente più alto rispetto a certe produzioni di massa, che arrivano da Oriente o da altri Paesi più o meno globalizzati.
Il primo tra questi dettagli è la qualità. Sembra ovvio, ma non lo è per tutti. Conoscere un tessuto doppio ritorno da un tessuto semplicemente grossolano non è sempre facile.
Anche se poi basterebbe mettere a confronto una camicia Principe con un’altra e capire subito che doppio ritorto significa resistenza associata a morbidezza, e brillantezza e naturalezza di colori, rispetto a tinte enormemente più “piatte” e innaturali.
E quanti sono capaci, inoltre, di far caso allo spessore e alla qualità di quei bottoni? Tra stare nei due millimetri e mezzo e star sotto i due millimetri, credeteci, fa una bella differenza. Soprattutto per la vita, lunga, che la camicia Principe di Firenze, dovrà vivere con voi e nel vostro guardaroba.
Altro dettaglio sono le cuciture.

E poi una volta fatto il calcolo moltiplicate per due, perché le ribattiture sono doppie: un patrimonio di indistruttibilità che deriva da lavorazioni artigiane e toscane, che Principe di Firenze garantisce per ognuna delle sue camicie.
Fatto questo piccolo esame si entra più nel visivo, notando magari i diversi tipi di colli, abbottonature, polsini, cannoni o pinces sul retro. Cose che notano tutti e fanno parte di un campionario ricco e vasto come quello offerto da Principe di Firenze.
Ciò che è più difficile vedere è però la vestibilità della camicia, un sistema che la camiceria Principe di Firenze ha spinto oltre le taglie e certe sigle facili e di moda come slim fit o altro.
Una camicia Principe di Firenze ha infatti diverse vestibilità, anche all’interno di una stessa taglia. E quando si parla di vestibilità, credeteci sulla parola, non si tratta solo di sentirsele addosso un po’ più strettine o larghine. Significa invece vera comodità e vera classe.
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5+1 casi della vita in cui l’abito che indossate è più importante di voi che ci siete dentro
I 5+1 casi della vita in cui l’abito che indossate è più importante di voi che ci siete dentro.
Si fa un gran parlare di dress code e voi avete tutto il diritto di fregarvene. In fondo nessuno meglio di voi può decidere cosa indossare e perché, per il piacere della libertà o della provocazione.
Ma oltre il dress code ci sono casi in cui l’abito che indossate è più importante di voi che ci siete dentro. Esattamente in cinque situazioni, più una alla quale sicuramente non avrete mai pensato.

Caso numero uno: gli eventi istituzionali.
Può darsi che tanti e tante di voi non siano mai invitate in un Ministero o all’udienza del Papa o alla festa in una delle centinaia di Ambasciate che reggono le sorti del mondo o magari alla Casa Bianca. Però nel caso che dovesse accadere, state tranquilli che in quel caso la persona che siete viene un attimo dopo il che cosa indossate.
Per l’uomo è d’obbligo lo smoking nero, così come nero devono essere il papillon (mai cravatta in questi casi) e le calze. Camicia bianca da smoking (il colletto ad alette si chiama infatti diplomatico), polsino da gemelli e pantaloni assolutamente senza risvolto in fondo, che cadono perfettamente sulle scarpe, anch’esse nere. In qualche caso, ma sono ormai sempre meno, può essere richiesto il tight o il frac, con la caratteristica forma della giacca con le punte sul retro (i nobili di una volta dicevano, vestiamoci da pinguino) la cui differenza con lo smoking più universale sta nell’abbinamento col grigio dei pantaloni e col gilet in contrasto con giacca e pantaloni, di solito color crema.
Per la donna è invece un must l’abito lungo, con scarpe dal tacco non esagerato e una piccola borsetta da portare in mano. Il nero andrà benissimo, ma se bellezza e età lo permettono un colore alternativo, nella gamma dei sobri, può essere un potente alleato. Il nero è invece di ordinanza se la signora elegante deve incontrare il Papa o le alte sfere della Chiesa. In tal caso il capo deve essere assolutamente coperto, con un velo nero.
Casi numero due e numero tre: matrimoni e cerimonie
A meno che non si tratti di matrimoni che rientrano nel caso numero uno c’è decisamente più libertà, ma non troppa. In questi casi si può essere amici degli sposi e alternativi quanto si vuole, ma il bon ton (e un pizzico di saggezza) deve tener conto che non si è soli al mondo e che ci sono le sensibilità degli altri e tradizioni millenarie che sarà bene rispettare. Per quanto molti facciano finta di non darvi troppa importanza (ma allora perché sposarsi?) il matrimonio è una faccenda seria. Così come sono faccende serie cerimonie di ogni genere, ovunque insomma si celebri l’ingresso in una nuova condizione umana: dal nobel a un premio letterario, compresi anniversari e similari.
L’uomo ha a propria disposizione la possibilità di un abito completo meno formale dello smoking, ma che comunque non può sfuggire alla regola del nero o del blu molto scuro, senza pantaloni in contrasto e, se la stagione lo richiede, possibilmente accompagnato da un gilet dello stesso tessuto dell’abito. Calzature sobrie e camicia rigorosamente bianca, sulla quale si può indossare indifferentemente cravatta o papillon.
Per le signore, indipendentemente da bellezza e età, è obbligatorio l’abito l’ungo dai colori sobri con calzature altrettanto sobrie e calze velate rigorosamente scure o neutre, a seconda dell’abbinamento meno stridente con l’abito.
Casi numero quattro e numero cinque: feste pubbliche e prime teatrali
Considerando tra le feste pubbliche quelle di maggio rilievo di una serata tra amici, come un grande evento professionale ad esempio, anche qui è bene non lasciare troppo spazio agli istinti sbarazzini. Uomini assolutamente in scuro (se gli eventi sono serali in particolar modo) e blazer solo nel caso si sia in piena estate e al mare.
Per le donne un bel po’ di libertà in più, soprattutto nel colore. Sono ammessi anche i pantaloni femminili, nel caso delle feste ma da evitare in teatro, e scarpe e borsette sobrie ma non rigidissime nell’etichetta come assolutamente obbligatorio nei casi precedenti.
Il caso + uno: fiere, eventi professionali e crociere
Quasi nessuno ci pensa, ma in questi casi pur liberandoci dagli orpelli degli smoking maschili e del nero lungo femminile, è meglio non fare proprio tutto quello che ci pare. Queste occasioni mondane sono il luogo di incontro più denso di occasioni che esista al mondo.
E qui l’abito è come un buon biglietto da visita. Parla di voi meglio del vostro sorriso o di una stretta di mano a prova di manuale di crescita personale e autostima. L’occasione della vostra vita potrebbe darvi un’occhiata e decidere di fermarsi o andare oltre, a seconda di come siete vestiti o vestite. Qui la libertà è più ampia, ma non totale come se andaste a una cena con amici nel luogo figo della città. Il miglior consiglio?
Evitate di vestirvi tutti uguali solo perché la categoria professionale (o la tribù) si veste così. Ad esempio un gessato o il tailleu.
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Abbottonatura a sinistra. Fascino ed emancipazione, ecco la camicia al femminile
Abbottonatura a sinistra. Fascino ed emancipazione, ecco la camicia al femminile
Non c’è capo migliore dell’abbottonatura a sinistra. Fascino ed emancipazione, ecco la camicia al femminile per ripensare con gioia e ammirazione al lungo percorso che ha portato ogni donna dalle godere e i volant settecenteschi alla libertà e l’autorevolezza di oggi.
Lo testimoniano le fogge, i colori, i tessuti e le accuratezze stilistiche di ogni camicia da donna Principe di Firenze.
Ma tanta ricchezza non è affatto scontata, perché se pensiamo che fin dalla preistoria o quasi, la “camis” orientale era paritaria tra uomo e donna. Poi ci sono stati secoli in cui alla donna la libertà (e l’autorità) della camicia non era concessa.
Capo che, se anche indossato, doveva essere ben nascosto per non essere di scandalo, paragonato quasi alla nudità.

La camicia femminile arriva al Novecento con questa scomoda eredità, ma affronta il secolo della modernità e delle grandi conquiste sociali, con sorprendente velocità.
Tutti i grandi stilisti vi si sono cimentati, ma l’intuizione geniale ha un nome e cognome tutto al femminile: fu Coco Chanel ad abbattere l’ultimo diaframma tra corsetti femminili e camicie.
Finalmente, in nome dell’emancipazione, anche la donna aveva diritto alla dinamicità completa della camicia: senza fronzoli e barocchismi, senza strane servitù alla morale dominante e tutto senza rinunciare alla femminilità.
Perché, diciamolo con convinzione, non c’è capo che esalti la femminilità di ognuna più funzionale e semplice di una bella camicia.
Unica concessione? Quell’abbottonatura a sinistra. Le cui origini rimangono quelle della gran dama che si vestiva con l’aiuto di una servitù più o meno numerosa.
Ma anche quella piccola cortesia alla cameriera è rimasto simbolo di una certa superiorità, a dispetto di tante, forse troppe uguaglianze.
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Il re dell’inverno è un cappotto di pelo
Il re dell’inverno è un cappotto di pelo.
Animalista e trendy, ecco tra le offerte di stile Principe di Firenze, sua maestà il cappotto in pelliccia sintetica.
E non lasciamoci ingannare dalla parola sintetica, perché basta toccarlo per apprezzarne la morbidezza senza pari e un tatto e una leggerezza che non hanno niente da invidiare alle pellicce più nobili.
Le quali, sensibilità animaliste ed ecologiste a parte, hanno fatto il loro tempo anche per le evoluzioni che questi straordinari tessuti che “imitano la natura” spesso superandola in bellezza e efficienza hanno saputo regalarci nel tempo.

Lo dimostrano tutte le grandi maison di moda, che hanno abbandonato da tempo gli animali, in favore di questi piacevolissimi e “cruel free” capi di abbigliamento.
Lo dimostra, infine, la versatilità degli styling che hanno saputo mantenere intatto il fascino retró e glamour, proprio grazie alla regalità e alla morbidezza di eusti tessuti di ultimissima generazione.
Inoltre la pelliccia ecologica è pratica e può essere declinata in infinite versioni, sia tra i colori naturali che imitano la natura, sia nelle ironie e citazioni dei colori moda.
Delle pellicce tradizionali, queste nuove proposte moda, hanno tutto il calore del pelo di certi mitici animali selvatici, ma sopratutto la traspirazione e l’impermeabilità di un capo che, oltre alla nobiltà, raggiunge gli standard di un vero e proprio capo “tecnico”.
Maschile, femminile… in una parola: velluto.
Tra i grandi classici senza tempo delle collezioni presenti da Principe di Firenze il velluto merita una menzione speciale.
Declinato in grande stile per le comode giacche monopetto maschili e gli aderenti modelli femminili, onnipresente in versione pantaloni, elegantissimo nei gilet.
Questione di stile, ma anche di storia. Perché non c’è tessuto più universale del velluto, capace di rivestire intere generazioni di contadini – nei fustagni che, nelle mitologie di certi sarti di campagna prendevano il nome di “pelle di diavolo” a indicarne una resistenza sovrumana – e allo stesso tempo venerato in egual misura dalle nobiltà e signori di ogni tempo.

Non c’è praticamente quadro di scena nobiliare, ritratto o altro, anche di pittori che hanno santificato la storia dell’arte nei secoli, che non comprenda una citazione del velluto. Dalle scuole toscane che hanno fatto grande nel mondo il rinascimento, fino agli Antonello da Messina o i Granacci che non mancavano di insidiare il primato toscano.
Ma al centro di tanta trasversalità, anche culturale, rimane la caratteristica che tanto lo fa amare anche al giorno d’oggi: quella sensazione di calore, protezione e morbidezza che nessun altro tessuto sa dare. Unita a quel senso di elegante armonia capace di adattarsi alle “rigidezze” di certi cerimoniali, fino al limite del militare, così come alla sapiente finta trasandatezza di certi intramontabili bohemian look.



Intramontabile pied de poule, parla la lingua delle grandi Maison
Intramontabile pied de poule, parla la lingua delle grandi Maison ma è un gran scozzese.
Le grandi maison della moda lo prediligono da sempre l’eleganza un po’ optical, il senso della texture che accompagna i rudi cardati in lana ma anche i finissimi pettinati, e quel disegno a quattro fili sfalsati che arricchiscono la trama come una danza. A prescindere dalle dimensioni del disegno.

Ma secondo le enciclopedie di mode e tessuti le sue origini si perdono nelle grandi nebbie scozzesi dell’Ottocento, con un intreccio forte, prediletto dai pastori. Occorreranno più di cento anni per ingentilirne le trame e renderlo adatto per la sua versatilità e le caratteristiche estetiche alle classi sociali più alte.

Il disegno, chiamato inizialmente “dogstooth” ovvero dente di cane, “puppytooth” cagnolino nella sua dimensione più piccola, conquistò proprio nel Novecento le grandi Maison, tanto da essere battezzato ai grandi successi da Dior, che ne utilizzò il pattern stilistico per il lancio, nell’immediato dopoguerra del profumo Miss Dior, la cui scatola era decorata col delicato disegno ton sur ton.

Da allora, molti grandi stilisti lo hanno utilizzato in modo deciso e ciclico, affascinati dalla singolarità del suo effetto ottico e della sua caratteristica di rilassare l’occhio senza dar mai l’idea di uno stile o di un disegno “sorpassato”. Nonostante le varianti di colore sempre sui toni del black and white con qualche concessione ai blu oltremare o ai marroni più basici.
Per questo e anche per la ciclicità che lo vede ritornare sulle grandi passerelle mondali ogni due o tre anni, capi maschili e femminili in pied de poule sono uno dei più sicuri must have del guardaroba elegante.

Cravatte. 5 nodi e modi per dire chi sei, ma soprattutto dove vuoi arrivare
La cravatta non ha il dono della sintesi, dal momento che tra i modi principali di annodarle e le loro varianti accreditate, si arriva a quasi una ventina di sfumature. Ma oggi che il tempo scarseggia un “bignami” del nodo può essere molto utile, anzi può salvarci dalle brutte figure e dai messaggi sbagliati.
Perché la moda, l’eleganza – si sa – è prima di ogni altra cosa comunicazione non verbale. E come per il linguaggio dei fiori, anche il nostro modo di portare la cravatta – soprattutto una cravatta made in Principe di Firenze – dice molto di noi.
Partiamo allora dalla prima distinzione, il colpo d’occhio. Nodo grande o piccolo? I piccoli esprimono di solito consapevolezza della propria posizione sociale, mente aperta, collaborativa e curiosa e grande senso del dovere.
Tant’è che nascono nella Nazione che più rigidamente esprime il senso “di classe” dei propri abitanti: l’Inghilterra. Per un rapido ripasso si guardi alle annodature preferite alla Camera dei Lord o a quelle della famiglia reale, in particolare al di fuori dei cerimoniali ufficiali.
Al contrario, il nodo grossolano e grande, magari su cravatte un po’ chiassose, ci ricordano immediatamente l’America e l’enorme filmografia sui gangster. Un nodo grosso è un messaggio chiaro: sono io il più forte e domino sugli altri, con ogni mezzo che la vita mette a disposizione.
Le sfumature tra questi due contrapposti profili psicologici e di comunicazione sono essenzialmente tre e dipendono dal numero di passaggi prima del “tiro” finale della cravatta.
Il più elementare prende il nome da uno dei club più esclusivi di Londra, il Four in Hand Club anche detto tiro a quattro. Un giro e tre rapidi movimenti per comunicare dinamismo e superiore sicurezza di sé. Poi c’è il passaggio a sei movimenti, che comprende un secondo giro per dare corpo al nodo. Si chiama Victoria – ma qualcuno lo chiama anche Prince Albert – e serve soprattutto a due cose: a dare un po’ più di corpo a un tessuto particolarmente sottile oppure a nascondere le parti usurate e logore di qualche vecchia cravatta cui si è molto affezionati.
Il messaggio è il valore che riteniamo debbano avere le grandi tradizioni (e i grandi valori che queste esprimono) e l’attenzione costante e meticolosa che con queste si guida la propria vita in rapporto con gli altri.
Infine, aggiungiamo ancora due passaggi e avremo il celebre nodo Windsor (che molti conoscono anche come nodo scappino) si svolge in otto passaggi, raddoppiando con un secondo giro tutte le fasi del basico nodo a quattro. E’ un nodo importante, quasi militaresco, adatto a riempire completamente il collo di qualsiasi camicia e a farsi notare. Il suo messaggio è: sono così importante che ho sempre bisogno che qualcuno me lo ricordi, anche la mia cravatta.
Scorpi le nostre caravatte Principe di Firenze
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L’abito a quadri, la ricchezza dei colori è una rivoluzione nella rivoluzione
L’abito a quadri, la ricchezza dei colori è una rivoluzione nella rivoluzione
Il fascino della rivoluzione francese ci ha lasciato un’eredità che conoscono tutti: quella della giacca e dei pantaloni che conosciamo oggi. Furono infatti quei primi proletari, con le loro “carmagnole” le giacche corte (in contrapposizione alle marsine della nobiltà di quel tempo) che si adattavano alla dinamicità del far fronte a una vita dura e difficile, a tramandare quella praticità nel corso degli ultimi tre secoli.
Pochi però conoscono il segreto del colore, che può essere considerato una rivoluzione nella rivoluzione. Furono infatti quelle prime “carmagnole”, a quei tempi con tessuti a righe o quadrettoni, a tramandare nei secoli un’eleganza che altrimenti sarebbe arrivata a noi con la monotonia dei panni scuri appannaggio esclusivo delle classi elevate.
Poi, come sempre succede nella globalizzazione di ieri e di oggi, a tracciarne una seconda storia fu l’inglese Lord Brummel, la cui “Bibbia” dell’eleganza e della praticità del panno dalle tonalità grigio fumo, blu notte e nero, obbligo i sarti ad uno sforzo di fantasia.

Le mille varianti per differenziare solo il taglio, nella monotonia generale dei tessuti d’ordinanza, hanno effettivamente creato il mondo della moda e dell’eleganza maschile che è sopravvisuta fino a noi con un’unica variante di determinate rilievo.
Sarà questa variante – la ricchezza del taglio che sposa l’allegria e la vivacità del colore – a determinare quel “fusion” che oggi ci regala i tagli più eleganti in una praticamente infinita cartella di disegni e colori.
Grazie a questa rivoluzione nella rivoluzione il dinamismo dei nostri tempi ha la sua eleganza. E probabilmente ci vorrà un’altra rivoluzione per togliercene il piacere, giorno dopo giorno.
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La cravatta, la seconda spina dorsale dell’uomo elegante
La cravatta, la seconda spina dorsale dell’uomo elegante
Anche in tempi sempre più orientati agli stili più informali, la cravatta rimane un accessorio indispensabile e insostituibile dell’eleganza maschile.
Forse la si indossa un po’ di meno, ma sicuramente la si indossa meglio. Se ne può fare a meno in sempre più contesti lavorativi, anche di alto e altissimo livello, talvolta persino nelle cerimonie, soprattutto se avvengono in estate. Eppure indossarla dà sempre la sensazione di un outfit davvero impeccabile, correggendo e addirittura nascondendo la qualità del taglio di una giacca o la qualità del tessuto con cui è stata realizzata.
Naturalmente se si ha il buon gusto di saperla scegliere, indossare, abbinare. Materia non facile, sulla quale torneremo spesso parlando delle cravatte proposte da Principe di Firenze e realizzate in proprio con fogge, tessuti e disegni tra i più rari ed esclusivi.
La riflessione che vorremmo fare oggi è il contrasto tra la delicatezza di questo accessorio e la sua forza effettiva.
Non a caso ancora definiamo la cravatta come una seconda spina dorsale (in tempi di 2.0 diremmo quasi un esoscheletro dell’eleganza maschile) e ciò è dovuto alla capacità della cravatta di “resistere” al nodo quotidiano anche molto stretto, rimanendo – in particolare nel caso delle cravatte Principe di Firenze – quasi eternamente giovani e in forma.
Fateci una riflessione e magari un esperimento: annodate un tessuto da giacca o da pantaloni, e vedrete che dopo un nodo tenuto per le ore in cui si porta annodata una cravatta, il tessuto già mostrerà stanchezza e addirittura si rovinerà. E parliamo di tessuti ben più consistenti di una seta garza sottile o di altri filati nobili e sottilissimi. E’ questa la magia della vostra cravatta Principe di Firenze.
Una magia che può rimanere viva per sempre grazie a una manutenzione davvero minima: lasciar “respirare” la cravatta sciogliendone delicatamente il nodo ogni sera e riponendola in pari per una notte e poi – quando serve – una stiratura a vapore che abbia l’accortezza di non toccare e premere mai sul tessuto.
Tanto che quasi sempre non occorre nemmeno un ferro da stiro, ma il semplice vapore che si sprigiona in bagno dopo una doccia calda.
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