La prima cosa che colpisce chi si avventura nello shopping tra le grandi strade delle capitali della moda è quell’omologazione che annulla quasi ogni differenza tra Milano e Roma, Firenze o Parigi.

Omologazione dettata dalla presenza uniformante delle grandi griffe, ma che finisce con ripercuotersi anche sul gusto e sullo stile, generando quel che psicologicamente potremmo definire un “deja vu”.

Così, alla difficoltà oggettiva di originalità e creatività a “chilometri zero” prendendo in prestito il termine dalle produzioni enogastronomiche d’eccellenza, l’unica vera difesa è il recupero dell’identità.

Il senso nobile della parola, composta in uguale proporzione di cultura e tradizione, assume allora anche un significato rivoluzionario. Culturalmente, perché anche in una dimensione ormai planetaria come lo shopping, possiamo aggiungere il privilegio di scelte che rispecchiano profondamente il nostro vivere, le nostre più belle abitudini e l’originalità che ci costraddistingue da secoli.

Tradizionalmente perché, per dirla con quel filosofo che affermava che “la tradizione è custodia del fuoco e non adorazione della cenere” possiamo contare sempre su una ricerca “viva” data dal vivere il presente di una città, senza scollegarsi da esso per esigenze dettate dal marketing o da non meglio definite “identità” aziendali lontane.

E’ la nostra identità allora a prendere il sopravvento, nelle nostre strade, in quel calore e in quel profumo di pietre, sapienza e invenzioni, dove s’è sedimentato anno dopo anno il meglio di noi stessi. E, con buona probabilità, anche il meglio di ciò che siamo sempre stati e che sempre saremo, ovunque nel mondo.