Quando la sartoria era un rito, anzi un club

Qualche radiografia sociologica dell’Italia degli anni ruggenti si preoccuperà di tracciarne una mappa piena di significati, ma quanti hanno vissuto e continuano a far vivere il rito dell’abito su misura in sartoria – siano raffinati clienti o maestri sarti – ne hanno piena consapevolezza.

Perché sì, c’è stato un tempo in cui le botteghe dei sarti erano più diffuse delle biblioteche, delle sale polivalenti e delle sale per conferenze. Onnipresenti dal più piccolo e sperduto borgo ai quartieri delle grandi città e dei capoluoghi in varie forme, dignità e dimensioni, ma sempre attive.

sartoria principe di firenze
sartoria principe di firenze

Luoghi, insomma, per quanti non trovavano opportuno frequentare bar e osterie, ma desideravano ritrovarsi in qualche momento del giorno per uno scambio di opinioni, commentare una notizia, condividere la vita in società.

Luoghi, naturalmente, del tutto trasversali e accoglienti. Aperti al contadino, al piccolo commerciante, al professionista (in tempi in cui la regola del rispetto reciproco era linguaggio universale) il luogo fisico della sartoria era un club degli ottimati. Lì si mescolavano la sapienza dell’artigiano e la scienza del buon vivere.

La conoscenza e la frequentazione non solo permettevano di “migliorarsi” in quel senso dantesco del fatti non foste a viver come bruti, ma anche a far sì che gli abiti prodotti potessero superare il concetto di su misura fisico – misurato da sempre in centimetri – raggiungendo un su misura anche interiore, psicologico.

sartoria principe di firenze

Il sarto che conosceva per lunga frequentazione i suoi clienti consigliava stoffe e modificava modelli e aggiungeva dettagli che vestivano non solo il corpo ma si adattavano alla vita: che fosse il vestire una cerimonia o l’indeformabile abito di chi non aveva l’abbienza di un guardaroba ben fornito.

Per questo andare dal sarto e la sartoria erano come i club che la letteratura classica inglese ha immortalato mille volte. Non si era lì principalmente per acquistare – a quello avrebbe pensato anni dopo il consumismo – ma per esserci. E con la propria presenza contribuire a fare di una bottega artigiana presidio di tradizione e di cultura.
Materie così connaturate alla sartoria che la rendono simile ad ogni latitudine di questo vasto mondo.

Persino chi si troverà a passare da certe sartorie di strada africane potrà notare, seduti assieme al sarto alla macchina da cucire, due o tre persone sedute che parlano tra loro.

Sarà anche per questo che sarti lo si diventava quasi sempre fin da bambini. Agli anni che ci volevano per imparare alla perfezione un’arte molto complessa, si affiancavano anche anni di ascolto e di crescita della propria comunità di riferimento.

All’interno del negozio Principe la sartoria, nella sua contemporaneità, conserva quei ritmi e quelle atmosfere da salotto. C’è uno spazio per sedersi e incontarsi e c’è un sarto – il maestro sarto Mathieu Avognan, che dalla Costa d’Avorio ha portato da noi la sua straordinaria manualità – con cui confrontarsi. Perché è bello, scegliendo un tessuto pregiato che ci rivesta, apprezzarne la calma, la rilassante atmosfera e quel patrimonio unico di cultura che lo renderà il nostro abito.

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